Most Were Silent
Anush Hamzehian e Vittorio Mortarotti
A cura di Stefano Riba
Most Were Silent di Anush Hamzehian e Vittorio Mortarotti è la seconda proposta espositiva di spazio_duale.
La mostra prosegue la ricerca che gli artisti hanno dedicato alle conseguenze fisiche e psicologiche dello tsunami in Giappone, agli effetti sociali della chiusura delle miniere in Belgio, alla violenza del confine tra Armenia, Azerbaigian e Iran, alla scomparsa di una lingua autoctona in una remota isola di Okinawa. Attraverso la sperimentazione dei linguaggi dell’immagine documentaria (fotografica e filmica) il racconto di marginalità storiche, geografiche e sociali si espande arrivando a trattare tematiche universali.
Per la realizzazione di Most Were Silent Hamzehian e Mortarotti trascorrono, tra aprile e maggio 2016, più di un mese ad Alamogordo, in New Mexico. La scelta del luogo avviene secondo la prassi dei geologi che risalgono al punto di origine studiando, a ritroso, la propagazione delle onde sismiche. Alamogordo diventa così l’ ‘epicentro’ da cui partire per affrontare i temi trattati nella mostra: la guerra e le sue conseguenze. In questa assolata e sonnolenta cittadina alle propaggini del deserto della Jornada del Muerto, nulla sembra oggi evocare il ricordo di eventi bellici. Eppure è qui, nel segreto di una base militare, che l’energia atomica venne usata per la prima volta come strumento di distruzione. L’esplosione avvenne il 16 luglio 1945 e nulla sarebbe più stato come prima. We knew the world would not be the same – disse Robert Oppenheimer, il fisico a capo dello sviluppo della prima bomba nucleare, che proseguì l’intervista riportando le reazione dei suoi colleghi del Manhattan Project, un ricordo da cui gli artisti traggono il titolo della mostra – A few people laughed, a few people cried, most people were silent. In questo scenario storico e geografico, Alamogordo è la città più vicina al luogo dove ebbe inizio l’era atomica nella sua potenza distruttiva (Hiroshima e Nagasaki) e dissuasiva (guerra fredda). Dal territorio che ha fatto da sfondo a questo evento epocale, gli artisti fanno partire la riflessione che affronta i temi atavici della violenza umana e della memoria storica. Temi che nel corso dei millenni sono stati indagati da ogni forma di espressione intellettuale (arti visive, letteratura, giornalismo) e che gli artisti affrontano da una prospettiva inaspettata e profonda.
La mostra si compone di dieci fotografie, tre film e una serie di reperti. Il percorso espositivo si apre presentando un volume medico, un filmato istituzionale proveniente dal Bradbury Science Museum di Los Alamos e un frammento di trinitite. Prosegue con il video in cui una ragazza cieca, studentessa alla New Mexico School for the Blind and Visually Impaired, legge la relazione, tradotta in lingua braille, del bagliore accecante che lo scienziato Philip Morrison vide all’esplosione del primo ordigno nucleare. Questo lavoro introduce il tema della mostra, presentando anche le difficoltà nella lettura delle stratificazioni della Storia, ma definisce anche il canone visivo che ricorre nella serie fotografica. Le immagini fisse sono infatti caratterizzate dalla luce. Un lampo che, nell’ombra o nel controluce, definisce i contorni di presenze nascoste, indaga i volti, li accieca e sospende gli accadimenti donando a tutto l’aura inquieta dell’incompiutezza.
Alle fotografie si affianca il secondo video. Mentre la ragazza cieca riporta una testimonianza altrui, qui è la voce di un veterano a ricordare la guerra che ha vissuto. Se il video istituzionale presenta la versione ufficiale, ora sono le convinzioni private a essere espresse. Memoria e testimonianza percorrono strade differenti, ma nessuna delle due, come avrebbe detto Fredric Jameson*, riesce a far sì che la storia possa essere raccontata come realtà.
La mostra si chiude, nella sala proiezioni, con il cortometraggio ambientato a Trinity Site, il luogo, all’interno della base White Sands Missile Range a 80 chilometri da Alamogordo, dove avvenne il primo test nucleare che oggi è celebrato da un obelisco commemorativo. Il film, girato nell’unica occasione annuale di apertura al pubblico del sito, raccoglie i ricordi e le interpretazioni dell’evento espressi, attraverso l’inevitabile filtro delle convinzioni personali, da alcuni visitatori civili e da personale militare.
In Most Were Silent il racconto della guerra (quella in Iraq, quella nucleare e del suo spauracchio) avviene in maniera indiretta, rimandando ad altre sfere sensoriali ed emotive: la testimonianza oculare del primo test atomico passa attraverso la voce di una ragazza cieca; le memorie dei compagni caduti si accompagnano alle immagini di un pacifico lavoro di giardinaggio; la fissità inquieta delle fotografie lascia immaginare, come in un video i cui frame successivi sono aggiunti dallo spettatore, oscuri scenari mentali. Hamzehian e Mortarotti usano il prisma della sinestesia, un fenomeno sensoriale/percettivo che indica una “contaminazione” dei sensi, per ampliare la profondità percettiva dei loro lavori e mostrare che la Storia è un processo di stratificazione e assorbimento modificabile secondo filtri individuali o collettivi. Tuttavia, ogni “contaminazione” comporta dei rischi, soprattutto quando si tratta di modificare la memoria comune. Proprio per questo la forza di Most Were Silent, oltre a risiedere nella bellezza e nella poesia delle immagini, è riuscire a creare una nuova prospettiva nel racconto e nel ricordo della Storia senza smarrire l’intento principale di ogni narrazione che non è quello di preservare la verità, ma di mantenere intatta l’onestà.
Stefano Riba
* “Siamo condannati a indagare la Storia per mezzo delle immagini e dei simulacri pop di quella storia, che come tale resta irraggiungibile per sempre”, scrive il critico americano in Postmodernismo (Fazi editore, 2007, p.42).
Most were silent è stata originariamente esposta, nel maggio 2018, presso la galleria Alberto Peola. Nel settembre dello stesso anno Skinnerboox ha presentato ad Unseen Amsterdam e alla New York Art Book Fair l’omonimo libro fotografico che completa il lavoro e la ricerca degli artisti. Nell’ottobre 2018 la mostra si è spostata a Spazio Labò di Bologna. Nel marzo 2019 Most Were Silent approda per la prima volta a Roma all’interno di spazio_duale che nr ospiterà le opere fino al 31 Marzo.
Anush Hamzehian (Padova, 1980) e Vittorio Mortarotti (Savigliano, 1982) hanno realizzato progetti con rifugiati politici, ex minatori, prostitute, sopravvissuti dello tsunami e veterani di guerra. Le loro installazioni video-fotografiche sono state esposte, tra gli altri, alla Blueproject Foundation di Barcellona, al Casino Luxembourg, alla Fotoraum di Colonia e a Foto Forum di Bolzano. Per il progetto Eden hanno vinto il Leica Prize alla biennale Images Vevey e il premio Level Zero di Art Verona che li ha portati a esporre al MAXXI di Roma. La loro pratica prevede anche la pubblicazione di libri d’arte. Nel 2015 The First Day of Good Weather è stato tra i finalisti del First Book Award di Londra, l’anno successivo Eden è entrato nella selezione del fotografo americano Ron Jude dei 10 migliori photobook del 2016. All’attività artistica Hamzehian e Mortarotti affiancano quella documentaristica. Nel 2016 L’Académie de la Folie è stato insignito dell’Étoile de la Scam, mentre nel 2018 è uscito il loro nuovo lungometraggio Monsieur Kubota, un documentario sulla ricerca dell’immortalità co-prodotto dalla televisione pubblica francese (France 2).
Stefano Riba collabora con Hamzehian e Mortarotti dal 2013. Nel 2012 fonda Van Der Gallery e dal 2014 organizza la serie di mostre e residenze Passi Erratici. Insegna exhibit design presso la Libera Università di Bolzano ed è tecnico d’arte presso numerosi spazi espositivi pubblici e privati.